20 luglio 2012

In che stato versa la pubblicità italiana?

Mi sento di condividere pienamente questa lettera scritta a quattro mani da Annamaria Testa e Massimo Guastini e pubblicata sul sito dell'ADCI:

Cari colleghi,
una domanda semplice semplice: come fanno le grandi agenzie, gran parte delle quali peraltro iscritte ad Assocomunicazione, a sopravvivere e pagare stipendi coi prezzi che stanno chiedendo ai clienti?
Eppure il Codice Deontologico di Assocomunicazione recita (art 7): La giusta remunerazione è l’elemento fondamentale che assicura la qualità dei servizi offerti e l’indispensabile professionalità. Il compenso è riconosciuto come l’elemento portante che regola i rapporti fra Associate e utenti. L’applicazione del giusto compenso e la difesa della sua integrità costituiscono principi fondamentali da ribadire a salvaguardia delle professionalità del settore.
C’è qualcosa che ci sfugge e, da imprenditori indipendenti della pubblicità, attenti sia alla qualità, sia alle condizioni di lavoro, sia ai conti, saremmo incantati di saperne di più.
Prendiamo, fra i moltissimi, un caso recente (Poste Italiane) che ha coinvolto diversi nomi noti. Ricordando che ci sono casi anche più imbarazzanti.
Nel caso di Poste Italiane si tratta di un incarico che dura tre anni, chiede – a detta del cliente – il coinvolgimento costante di più persone, e viene aggiudicato a circa 60.000 euro complessivi. Vuol dire 20.000 euro all’anno. Il costo, spese generali escluse, di un singolo stipendio regolare da apprendista: circa 1000 euro al mese.
C’è qualcosa che non torna. Facciamo qualche ipotesi
1. su quel lavoro, per quel cliente, verrà impiegata una singola professionalità del valore di 1000 euro al mese, e senza un centesimo di guadagno per l’agenzia
2. su quel lavoro verranno impiegate persone che guadagnano molto meno. Anzi: magari niente …ma quale professionista lavora gratis?
3. su quel lavoro verranno impiegati fior di professionisti, pagati però da più consistenti tariffe versate da altri clienti
4. su quel lavoro verranno impiegati fior di professionisti, attualmente sottoutilizzati perché l’agenzia è alla frutta, ci sono più dipendenti che clienti ed è meglio lavorare sottocosto che tenere la gente a girarsi i pollici
5. su quel lavoro si guadagnerà comunque, facendo la cresta, per esempio, sulle spese di produzione. O con qualche altro artificio poco trasparente
6. non è vero che che il lavoro chiede molto impegno di molte persone: verrà fatto a costo zero nei ritagli di tempo, alla faccia del cliente e come capita capita
7. su quel lavoro verranno persi un bel po’ di soldi… ma perché?
a. c’è il gusto di fregare la concorrenza col dumping, anche a rischio di farsi del male da soli
b. le grandi agenzie sono ricchissime e di farsi pagare tutti i lavori non gli importa un fico
c. le grandi agenzie italiane sono comunque per la stragrande maggioranza sedi periferiche di gruppi multinazionali, che fanno profitti in economie più vivaci. E agli headquarter di quel che, nel bene e nel male, succede in Italia interessa poco
Dai, cari colleghi, illuminateci con qualche altro motivo comprensibile, e migliore.
Se ce ne sono, vuol dire che avete fatto l’invenzione del secolo: il lavoratore virtuale. Gli annunci autogenerati. Lo spot automatico. Il viral che si inventa da solo. Oppure avete robotizzato l’intera agenzia.
Sì, illuminateci: noi, che continuiamo come si faceva una volta a lavorare a lungo sui brief, a investire tempo per trovare idee efficaci, a formare e a pagare le persone, siamo ansiosi di sapere che futuro, scaturito da quale meravigliosa trovata, aspetta tutti noi e le imprese italiane che continuano, nonostante tutto e in questi tempi complicati, a fare affidamento sulla buona comunicazione pubblicitaria.
(Annamaria Testa – Massimo Guastini)