30 luglio 2007

Chiuso per ferie (e per manutenzione).


Stacco per un po'. Ma non starò in vacanza tutto questo tempo. Andrò nel Salento per una decina di giorni. Il resto dei giorni starò tra Pontremoli e Milano. Ne approfitto anche per mandare il mio vecchio Mac a fare il tagliando d'estate. Ne ha bisogno, poveraccio.

Buone vacanze a tutti.

Enrico.

26 luglio 2007

Progetti di lettura: da un romanzo leggero ad un saggio non pesante.


Ho praticamente divorato l'ultimo libro di Peter Cameron con il quale ho anche avuto un simpatico scambio di mail: Peter mi anticipa che l'anno prossimo Adelphi manderà in stampa un suo nuovo romanzo dal titolo "Andorra". Lo aspetto con ansia, visto che i primi due li ho amati molto.

L'anno scorso Repubblica ha pubblicato, a puntate,un saggio breve di Alessandro Baricco dal titolo "I barbari". Allora non ebbi tempo di leggerlo, (anche se collezionai minuziosamente tutti i capitoli in una cartella). Poi qualche mese dopo Fandango pubblicò "I barbari", che acquistai subito e che sto leggendo in questi giorni. Dal poco che ho letto mi sembra interessante. Baricco parla dei barbari che hanno contribuito alla mutazione di alcuni valori fondamentali della società.

Non ho mai amato Baricco, ho faticosamente letto "City" e "Seta". Lo considero un centometrista e quindi trovo che il meglio della sua scrittura lo dia nei pezzi piccoli tipo quelli che scrive per Repubblica. Però questo saggio mi sta piacendo. Vi tengo aggiornati.

Tornando a Cameron e al suo "Un giorno questo dolore ti sarà utile", confermo quanto di buono avevo detto dopo aver letto "Quella sera dorata", che comunque, tra i due, rimane il più bello, anche se per quest'ultimo suo romanzo è stato addirittura scomodato J.D.Salinger e il suo "Giovane Holden": alcuni sostengono che i due protagonisti si somigliano. Non è esattamente così, però qualcosa in comune i due ce l'hanno: il fascino.

20 luglio 2007

Il viaggio della vita (opera di Thomas Cole). Brano tratto dall'ultimo libro di Peter Cameron.



Vi riporto un brano tratto dall'ultimo libro di Peter Cameron "Un giorno questo dolore ti sarà utile". Nel brano l'autore descrive maniacalmente un'opera d'arte composta da quattro quadri, Il viaggio della vita, di Thomas Cole, esposta alla National Gallery di Washington.

Ecco il brano:

"Poi sono entrato in una saletta in cui c'erano solo quattro quadri, e mi sono ricordato di averli già visti quando ero stato in gita scolastica con la terza media. Sono dei quadri molto leziosi, un po' stupidi. Rappresentano le quattro età dell'uomo: infanzia, giovinezza, virilità e vecchiaia. In ogni quadro c'è una figura su una barca che naviga su un fiume, guidata da un angelo. Nel primo, Infanzia, c'è un bambino piccolo e la barca spunta da una caverna buia, il grembo materno. E' mattino presto e il fiume scorre calmo attraverso una valle idilliaca piena di fiori. L'angelo è sulla barca, in piedi dietro al bambino, e hanno tutti e due le braccia tese verso il mondo a cui vanno incontro. In Giovinezza è mezzogiorno e la barca si è addentrata nella bella valle. Il bambino si è trasformato in un ragazzo e sta in piedi, le braccia tese verso il futuro. L'angelo è sulla riva e gli indica la strada come un vigile. Le nuvole hanno la forma di un castello fantastico, circondato dal cielo azzurro. In Virilità le acque del fiume sono furiose, il paesaggio è arido, tutto rocce; il cielo al tramonto è pieno di nuvole temporalesche. Il ragazzo è diventato un uomo, sempre in piedi sulla barca, ma prega a mani giunte mentre la barca punta verso le rapide. L'angelo è lontano, da un'apertura fra le nuvole guarda la barca che corre in avanti. Fa venire i brividi. Nell'utlimo quadro, Vecchiaia, la barca entra dal lato opposto della tela. E' difficile dire che ora sia perchè il cielo è tutto scuro, c'è solo un fascio di raggi di luce che filtra tra i nuvoloni. E' un'ora indistinta fuori dal tempo. Il fiume sta per sfociare calmo in un enorme mare scuro. Nella barca è seduto un vecchio e l'angelo vola proprio sopra di lui, indicando il mare e il cielo bui. In lontananza c'è un altro angelo che guarda giù dalle nuvole. Le mani del vecchio sono sempre giunte, ma non si riesce a capire se sta pregando o se sta implorando l'angelo di salvarlo prima che prenda il largo in quella paurosa oscurità".

Qui trovate il sito di Peter Cameron.

19 luglio 2007

Progetti di letture: la stagione dei classici si ferma per un po'.


Dopo tre mesi di fatiche manzoniane (vedi post precedente), ho deciso di mandare in ferie i classici. Attualmente sto divorando il nuovo libro di Peter Cameron "Un giorno questo dolore ti sarà utile". Ho scoperto Cameron qualche mese fa leggendo il suo capolavoro "Quella sera dorata", uscito un anno fa circa da Adelphi. Il nuovo libro si annuncia come migliore del precedente. Vi farò sapere. Una cosa è certa: le prime trenta pagine sono stupende.

18 luglio 2007

I Promessi Sposi: promessa mantenuta.



I più anziani frequentatori di questo blog si ricorderanno che in un post del 25 agosto del 2006, mi ripromettevo di leggere I Promessi Sposi, dopo averne acquistato un'edizione antica (foto).

La promessa l'ho mantenuta. Proprio ieri ho terminato, dopo tre mesi di (piacevole) fatica, il capolavoro di Alessandro Manzoni. Un capolavoro, appunto.

Il vecchio post dell'anno scorso, lo potete leggere qui.

17 luglio 2007

Oscar Pistorius che corre i 400 metri: ecco il fenomeno dell'anno. Altro che Second Life.

Provate a pensarci: è più clamoroso che quest'uomo riesca a correre i 400 metri in una gara ufficiale o che un uomo (o una donna) si possa creare una nuova identità su Second Life?

6 luglio 2007

Marchionne: "Vi racconto lo spot della nuova 500, l'ho fatto io". Ecco la fine di noi creativi.


Riporto qui di seguito, l'intervista a Sergio Marchionne che Massimo Gramellini ha realizzato per il sito de La Stampa.

Gramellini racconta come abbia scritto e ideato lo spottone di un minuto che da un paio di giorni si è abbattutto sulle nostre case.

In due parole: la fine di noi creativi.

MASSIMO GRAMELLINI
TORINO
Stasera la nuova Fiat 500 entra nella case di tutti gli italiani con una pubblicità che parla di Falcone, Ciampi, Valentino Rossi e Giorgio Gaber, non nomina mai la 500 e cita la Fiat soltanto una volta, alla fine. Colpiti dalla scelta, siamo andati a chiederne conto al pubblicitario che ha scritto il testo dello spot e scelto le foto che lo illustrano. È un esordiente. Si chiama Sergio Marchionne, uno che ama l'Italia come capita solo a chi non ci ha vissuto per molto tempo e che di mestiere gestisce da tre anni l'azienda di cui ha appena curato la réclame. È seduto davanti a un portacenere, gioca con l'accendino e porta il solito maglione blu. «Nero. Io posseggo solo maglioni neri. Ma siete tutti daltonici? Nero con una rifinitura speciale di cui nessuno si è ancora accorto. Dopo gliela mostro».

Intanto ci dica quando ha deciso di darsi alla pubblicità.
«Il 16 maggio, di pomeriggio. Ho impiegato un'ora e mezzo per scrivere il testo al computer. Ma ce l'avevo in pancia da giorni. L'ho scritto in inglese e poi tradotto, ma chi lo ha letto in originale dice che è ancora più bello, perché l'inglese è una lingua precisa».

E cosa dovrebbe comunicarci di così preciso, lo spot della 500?
«Ricostruisce il Dna del gruppo Fiat. Abbiamo sputato sangue in questi anni per ripulirlo e ricominciare. Oggi, 4 luglio, per la Fiat è un nuovo inizio. Tre anni di catarsi per tornare a riveder la luce».

Ricorda la prima volta in cui entrò al Lingotto da amministratore delegato?
«Nella pancia della balena. Sentivo puzza di morte. Morte industriale, intendo. Un'organizzazione sfinita, pronta ad appigliarsi a qualsiasi chiodo, anche a questa specie di Topolino che arrivava dalla Svizzera, chissà che fumetti avrebbe portato».

Fumetti amari, all'inizio.
«Per prima cosa ho fatto il giro del mondo in 40 giorni, ho visitato tutti gli stabilimenti, visto tutto. La burocrazia ministeriale. L'organizzazione non strutturata per la concorrenza. La logica era: quest'anno ho fatto un accendino, il prossimo anno ne farò uno più lungo di un millimetro, e chi se ne frega se intanto all'estero lo fanno di un chilometro. L'idea di fare soldi non era minimamente presa in considerazione, come in certi ambienti islamici dove il guadagno è considerato una forma di usura».

Il piemontese viene da generazioni di montanari, soldati, operai. Ha il culto dell'obbedienza.
«E io ho mantenuto la disciplina e il senso del dovere, però li ho dirottati verso la condivisione degli obiettivi. Lavoro di squadra vuol dire che tutti i miei uomini comunicano fra loro e si informano su tutto. Ma il leader deve anche saper decidere da solo. Quando andavo in Usa per trattare con GM mi sentivo alle Crociate. E poi le banche, il convertendo. Momenti unici. Ma i miei uomini si devono sempre sentire coperti da me. Vero, De Meo?». Luca De Meo, a.d. di Fiat Automobiles, è l'incarnazione fisica del nuovo verbo aziendale. Quarant'anni appena compiuti, testa svelta, lingua sciolta, jeans e musica rock, praticamente un alieno in diretta dal futuro: «Ogni tanto il dottore mi cazzia perché faccio quello che mi pare».

È così, dottor Marchionne?
«Tanto poi continua a farlo… Far parte della squadra, ecco quel che conta, Io so che se lascio uno di loro fuori da una decisione, lo sgonfio in tre secondi. È un po' che li trascuro, è di nuovo il momento di dargli una sferzata. Come dice De Meo, abbiamo avuto cuore e gambe per entrare in Champions, adesso viene il difficile. Tutti ci davano per morti. Sull'ultimo numero del Journal de l'Auto c'è l'immagine di una 500 che esce dalla bara… Ma il rischio di retrocedere è svanito per sempre. La Fiat non creperà più. Hanno fatto di tutto per spolparla, toglierle le scarpe e il cappotto. Ma siamo sopravvissuti. Ora il sogno è un altro. Diventare i migliori. Non in tutto, che è impossibile. Ma su certi valori. Essere italiani significa farci riconoscere per lo stile che abbiamo. E poi i nostri concorrenti sono complessi, rigidi e pieni di procedure: speriamo che continuino. Noi invece stiamo diventando veloci e facilitanti come la Apple. Per lo spot mi sono ispirato allo slogan: "Think different"».

La Apple è il suo pallino. Come mai preferisce Steve Jobs a Bill Gates?
«È l'underdog, quello che vede il mondo in maniera diversa e capisce che c'è spazio anche per quelli come lui. Apple è un insieme di valori e di cose eleganti e coerenti. Io sono un miscredente convertito. Il primo iPod me l'ha regalato De Meo. Un sistema facile da usare. Voglio che la Fiat diventi la Apple dell'auto. E la 500 sarà il nostro iPod».

Che musica metterebbe sulla nuova 500?
«Bobby McFerrin: "A piece, a chord"».

Adesso si balla, ma prima ha dovuto usare il bisturi. Montanelli diceva che i leader italiani partono con l'idea di fare i chirurghi, ma finiscono col somministrare la solita aspirina.
«Io sapevo che tagliare era una premessa per rinascere. Se c'è una cosa che odio è licenziare qualcuno, guardarlo negli occhi e immaginarlo la sera, quando tornerà a casa e dovrà dirlo alla moglie, ai figli. È una cosa orribile. Allora cerco di attutirgli la botta, facilitargli l'uscita. Qui d'altronde si era creata una incrostazione, non potevo inventarmi un mestiere per tutti. Ma adesso ricomincio ad assumere. Cinquecento tecnici e ingegneri, e non mi bastano. Macchine, motori, trattori, camion: stiamo crescendo da tutte le parti».

E gli operai?
«Il problema non sono mai stati loro. Ma vanno gestiti bene. Andai a Pomigliano d'Arco, due anni fa, e davanti a me un'operaia attaccò un pezzo alla macchina. Brava, le dissi. E lei: "Guardi, dottore, è stata una botta di culo. Di solito ci impiego venti volte a incastrarlo". L'ingegnere aveva disegnato male il pezzo».

Nello spot ci sono anche gli operai sotto Mirafiori.
«Abbiamo scelto immagini che riguardassero da vicino la storia d'Italia degli ultimi 50 anni. Così lo spot piazza la Fiat in un contesto storico che Apple non aveva. Appena arrivato, feci fare un filmato con tutti i nostri successi. Il senso era: se l'abbiamo già fatto, perché non potremmo rifarlo? Lì abbiamo capito che significavamo qualcosa per questo Paese. Nel bene e nel male. Ma il saldo è positivo. Perciò lo slogan della campagna è: la nuova Fiat appartiene a tutti noi"».

Le immagini le ha scelte lei?
«Ho dato spunti, anche forti. Amin, Pol Pot. Alcuni sono stati scartati. Nella mia testa c'erano solo parole e immagini. Poi è saltato fuori il bambino del "Nuovo cinema Paradiso" di Tornatore. È lui che guarda le foto, nello spot. Il suo sorriso buffo rappresenta il nuovo primo giorno della Fiat».

La sua immagine preferita? Per De Meo è Ciampi che mette le mani sulla bara dei caduti di Nassiriya.
«Falcone e Borsellino. E Valentino Rossi che solleva un braccio al cielo dopo la vittoria. Quanta energia e forza in quel gesto, quanta italianità… Questo è un Paese che non sa volersi bene».

Lei ha messo l'etica nel Dna della nuova Fiat. Funzionerà nel paese dei furbetti?
«Anche l'America ha avuto i suoi furbetti. La Enron riceveva gli investitori in una sala piena di telefoni. Peccato che non ci fossero i fili… Ma un sistema sano rientra, corregge e si riposiziona. Il problema italiano è che non ha la reputazione internazionale di sapersi correggere. La nostra sfida è riconquistare dignità».

Bisognerebbe avere senso dello Stato. Anche le aziende che privatizzano i profitti e scaricano i debiti sul pubblico.
«Negli ultimi 3 anni profitti e debiti delle Fiat sono stati totalmente a carico dell'azienda. Alle banche avevo promesso che mi sarei spaccato l'anima per non far perder loro i soldi che in quel momento non potevo restituire. Bene, se fossero rimaste tutte, adesso avrebbero il doppio e oltre del capitale investito. I loro 3 miliardi oggi ne valgono quasi 7».

Fra gli italiani si respira impotenza.
«Strano. Il Pil cresce, l'indebitamento e la disoccupazione calano, eppure c'è questo senso di insoddisfazione».

Sarà che le sale dei bottoni assomigliano a quella della Enron. Schiacci e non risponde nessuno.
«Anche qui schiacciavo e l'unico che rispondeva era il centralino. Allora mi sono messo sotto il tavolo e li ho aggiustati, i bottoni».

È un consiglio ai politici?
«Li ho visti coinvolti in certe risse… Ci vuole classe. Quando un politico si alza a parlare, deve farlo con competenza e credibilità. Il carisma non è tutto. Come la bellezza nelle belle donne: alla lunga non basta».

Chi le piace?
«Sarkozy: un uomo di destra che si apre a gente che non fa parte della sua tribù. Pragmatico. Prendiamo le pensioni. In Italia vedo un approccio ideologico. Perché uno dovrebbe lavorare più a lungo? Solo perché la vita si è allungata?».

No, perché mancano i soldi.
«Se il motivo è economico, allora mi sta bene. La 500 l'abbiamo costruita perché avevamo i soldi. Il primo a parlarne fu Lapo. Sembrava una valutazione emotiva. Ma al primo bilancio non più in rosso, abbiamo deciso di farla davvero. Era il dicembre 2005. Ci abbiamo impiegato 18 mesi, il doppio del tempo che occorre per un bambino, ma la metà di quanto ci mettono i nostri concorrenti. Scusi, mi è arrivato un sms dalla Borsa: "Fiat vale 28 miliardi e mezzo di euro". Forse è davvero ora di andarci, in pensione…».

Non ci crede nessuno. Ormai con quel maglione è anche un personaggio. Dal Presidente della Repubblica dovrà mettersi la giacca.
«Cos'è, una minaccia? Io sono così. Il tizio con il maglione. Almeno non mi confondo la mattina nell'armadio. I miei maglioni hanno un piccolo tricolore sulla manica. E lo porto con orgoglio, io. L'Italia non è un concetto astratto. Esiste. Come ce l'abbiamo fatta noi a trovare la gente giusta per risorgere, ce la può fare anche il Paese. Qui dentro non si è mai brindato a qualcosa che non riguardasse la Fiat. Ci sentiamo una comunità dominata da un forte senso di appartenenza. Sarebbe bello vederlo anche fuori di qui. Come in Francia. Lo spot andrà anche lì, e le immagini saranno ovviamente francesi, da De Gaulle a Platini».

Montezemolo ha visto quello italiano?
«E gli è piaciuto molto».

5 luglio 2007

Ciao, Claudio.


E' morto oggi il giornalista Claudio Rinaldi, grande innovatore di settimanali.
Aveva 61 anni, è stato direttore di Europeo, Panorama ed Espresso. Malato da lungo tempo, fino all'ultimo ha scritto la seguitissima rubrica sull'Espresso e il blog. Il minimo che posso fare per ricordarlo è riproporre, qui di seguito, il suo ultimo post di due giorni fa, dal blog che curava personalmente sul sito dell'Espresso.

E Visco non si dimette
Postato in il 2 Luglio, 2007

Ammetto di non provare una particolare simpatia per Vincenzo Visco. Ritengo sbagliata e inutilmente punitiva la sua politica tributaria; escludo che contro l’evasione fiscale stia facendo i miracoli di cui certuni favoleggiano; trovo disdicevole, in lui come in qualsiasi uomo politico, l’assoluta mancanza di cordialità; e deploro che, davanti alle polemiche sul suo conflitto con l’ex comandante della Guardia di finanza, non abbia sentito il dovere di illustrare personalmente le sue ragioni al Parlamento o all’opinione pubblica.

Dunque non sono obiettivo, tanto che sull’Espresso ho redarguito il governo Prodi perché non ha approfittato dello scontro con la Gdf per liberarsi dell’impopolare viceministro.

Però non mi sento affatto fazioso a danno di Visco se adesso, dopo la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma, dico che farebbe bene a dimettersi dal suo delicato incarico.

Lo so, è possibilissimo che presto le ipotesi accusatorie contro di lui (abuso di ufficio e minacce verso il generale Roberto Speciale) cadano. Glielo auguro sinceramente. In caso contrario, varrebbe anche per lui la presunzione di innocenza che la Costituzione stabilisce per chiunque non abbia riportato una condanna definitiva.

Ma esistono ragioni di opportunità politica che dovrebbero consigliare a Visco un sano passo indietro.

Spiace doverlo ricordare, ma nel sordido governo Berlusconi ben tre personaggi di peso non esitarono a farsi da parte quando, benché non fossero indagati da alcuna magistratura, diventarono bersaglio di duri attacchi politici, a causa di comportamenti di pessimo gusto o semplicemente folcloristici.

Carlo Taormina si dimise da sottosegretario agli Interni perché aveva dichiarato che certi pm milanesi avrebbero dovuto essere arrestati. Claudio Scajola si dimise da ministro dell’Interno perché aveva confidato a due giornalisti che il povero Marco Biagi era «un rompicoglioni». Roberto Calderoli si dimise da ministro delle Riforme perché aveva indossato una t-shirt recante stampata una vignetta antiislamica.

Se si va a casa in seguito a comportamenti del tutto privi di rilievo penale, dubito che sia lungimirante rimanere attaccati a una poltrona dopo che si è appreso di essere oggetto di indagini addirittura per minacce.

Certo Visco non è tipo da farsi tanti problemi, visto che giorni fa si è presentato alla cerimonia di insediamento del nuovo comandante della Gdf benché fosse già stato spogliato della delega al controllo delle Fiamme gialle.

Ognuno ha la sua sensibilità.

Va detto, però, che è l’intero governo Prodi a considerare irrilevante, almeno così sembra, l’iscrizione di un proprio membro in qualche registro degli indagati.

Un esempio? L’ex capo della polizia Gianni De Gennaro è indagato a Genova, eppure ha conquistato senza colpo ferire l’appetitoso posto di capo di gabinetto del ministro dell’Interno.

4 luglio 2007

"Che bello! Andiamo 25 giorni nello Yemen a sole 2.200 euro!!!". Il destino crudele di sette spagnoli in vacanza nello Yemen.



"Che bello! Andiamo 25 giorni nello Yemen per sole 2.200 euro!!!".

Crudele il destino dei sette turisti spagnoli che da Bilbao sono partiti per lo Yemen e al secondo giorno di vacanza sono stati barbaramente assassinati da un'auto kamikaze.

Ho curiosato (un po' cinicamente) nel sito dell'agenzia basca che ha organizzato questa triste spedizione. L'agenzia di chiama Banoa e il sito internet è: www.banoa.com

Nella foto vedete la mappa del viaggio (scaricata dal sito) che i sette turisti avrebbero dovuto fare nella zona che invece li ha visti morire.

2 luglio 2007

La Terra è in pericolo: grande pezzo di Al Gore oggi su Repubblica.



di Al Gore (da La Repubblica del 2 luglio 2007)

Noi - la specie umana - siamo giunti ad un momento decisivo. È inaudito, e fa perfino ridere, pensare di poter davvero compiere delle scelte in quanto specie, ma è proprio questa la sfida che ci troviamo davanti. La nostra casa - la Terra - è in pericolo. Non è il pianeta a correre il rischio di essere distrutto, ma le condizioni che lo hanno reso un luogo accogliente per gli esseri umani.

Senza renderci conto delle conseguenze delle nostre azioni, abbiamo cominciato a riversare nel sottile involucro di aria che circonda il nostro mondo quantità di anidride carbonica tali da arrivare letteralmente ad alterare l'equilibrio termico tra la Terra e il Sole. Se non ci fermeremo, e in fretta, la temperatura media crescerà a livelli che gli esseri umani non hanno mai sperimentato fino ad ora, mettendo fine al propizio equilibrio climatico su cui poggia la nostra civiltà.

Nell'ultimo secolo e mezzo, sempre più freneticamente, abbiamo estratto dal terreno quantità sempre maggiori di carbonio, principalmente sotto forma di petrolio e carbone, bruciandolo al ritmo di 70 milioni di tonnellate di CO2 riversate ogni 24 ore nell'atmosfera terrestre.

Le concentrazioni di anidride carbonica, che non erano mai salite oltre il livello di 300 parti per milione (ppm) da almeno un milione di anni a questa parte, sono cresciute dalle 280 ppm dell'inizio del boom del carbone fino alle 383 ppm di quest'anno.

La conseguenza diretta è che molti scienziati adesso ci avvertono che ci stiamo avvicinando a una serie di "punti di non ritorno", che nel giro di 10 anni potrebbero metterci nell'impossibilità di evitare danni irreparabili all'abitabilità del pianeta per gli esseri umani.

Negli ultimi mesi, nuovi studi hanno dimostrato che la calotta glaciale artica, che aiuta il pianeta a raffreddarsi, si sta sciogliendo a ritmi quasi tre volte più veloci di quanto previsto dai più pessimistici tra i modelli elaborati al computer. Se non agiremo, nel giro di appena 35 anni, il ghiaccio potrebbe arrivare a scomparire completamente nei mesi estivi. All'altra estremità del pianeta, al Polo Sud, gli scienziati hanno scoperto nuove prove di scioglimento della neve in un'area dell'Antartide occidentale grande quanto la California.

Non è una questione politica. È una questione morale, che riguarda la sopravvivenza della civiltà umana. Non è una questione di destra o di sinistra, è una questione di giusto o sbagliato. Per metterla in termini semplici, è sbagliato compromettere l'abitabilità del nostro pianeta e rovinare il futuro di tutte le generazioni che verranno dopo di noi.

Il 21 settembre del 1987, il presidente Ronald Reagan disse: "Ossessionati come siamo dagli antagonismi del momento, spesso ci dimentichiamo quante cose uniscano tutti noi membri della razza umana. Forse ci serve una minaccia esterna, universale, per riconoscere questo legame comune. Ogni tanto penso che le nostre divergenze scomparirebbero rapidamente se ci trovassimo a fronteggiare una minaccia aliena proveniente da un altro mondo".

Noi - tutti noi - ci troviamo ora di fronte a una minaccia universale, che non proviene da un altro mondo, ma che è, cionondimeno, di portata cosmica.
Compariamo due pianeti del nostro sistema solare, la Terra e Venere: i due corpi celesti hanno dimensioni quasi identiche, e un quantitativo di carbonio quasi identico. La differenza è che sulla Terra la maggioranza di questo carbonio si trova sottoterra, depositato da varie forme di vita nel corso degli ultimi 600 milioni di anni, mentre su Venere la maggioranza del carbonio si trova nell'atmosfera.

Il risultato è che mentre sulla Terra la temperatura media equivale a un gradevolissimo 15 gradi centigradi, su Venere lo stesso parametro schizza fino a 464. Certo, Venere è più vicina al Sole, ma la colpa non è del nostro astro: Venere è mediamente tre volte più calda di Mercurio, che è il pianeta più vicino al Sole in assoluto. La colpa è dell'anidride carbonica.
Questa minaccia ci impone, come diceva Reagan, di unirci nella consapevolezza di ciò che ci accomuna.
Sabato prossimo, su tutti e sette i continenti, il concerto Live Earth cercherà di attirare l'attenzione del genere umano per dare il via a una campagna triennale che renda tutti gli abitanti del pianeta consapevoli che la crisi climatica può essere risolta in tempo per evitare la catastrofe. I singoli individui sono uno degli elementi della soluzione.

Citando Buckminster Fuller, "se il successo o il fallimento di questo pianeta, e della specie umana, dipendesse da quello che sono e da quello che faccio, come sarei? E che cosa farei?".

Live Earth offrirà una risposta a questo interrogativo chiedendo a chiunque verrà ad assistere ai concerti o li ascolterà di firmare un impegno personale a intraprendere passi specifici per combattere i cambiamenti climatici. (Altri particolari su questo impegno da firmare sono disponibili su algore. com).
L'azione individuale dovrà indirizzare e guidare l'azione dei governi, e gli americani da questo punto di vista hanno una responsabilità speciale: per gran parte della nostra breve storia, gli Stati Uniti e il popolo americano hanno garantito al mondo la loro leadership morale. Il Bill of Rights, i principi democratici inscritti nella Costituzione, la sconfitta del fascismo nella Seconda guerra mondiale, la vittoria sul comunismo e la conquista della Luna, sono tutti risultati della leadership americana.

Una volta di più, noi americani dobbiamo unirci e premere sul nostro governo perché raccolga questa sfida globale. La leadership americana è una precondizione per il successo.

A questo scopo, dovremo esigere dai nostri governanti che gli Stati Uniti sottoscrivano, nel giro dei prossimi due anni, un trattato internazionale che tagli le emissioni inquinanti del 90 per cento nei Paesi sviluppati e di oltre la metà a livello mondiale, in tempo perché la prossima generazione possa ricevere in eredità una Terra in buona salute.

Questo trattato segnerà un nuovo sforzo. Io sono fiero del ruolo che ho interpretato durante l'amministrazione Clinton nei negoziati per il protocollo di Kyoto, ma sono del parere che quell'accordo sia stato demonizzato a tal punto, negli Stati Uniti, che probabilmente non potrà mai venire ratificato, più o meno come successe ai tempi dell'amministrazione Carter, nel 1979, quando il governo non riuscì a spuntare la ratifica di un ambizioso trattato per la limitazione degli armamenti strategici. E in ogni caso, tra breve prenderanno il via i negoziati per arrivare a un trattato più ambizioso sul problema dei cambiamenti climatici.

Perciò, così come il presidente Reagan cambiò nome e modificò l'accordo Salt (ribattezzato in Start), dopo averne, tardivamente, riconosciuto la necessità, il nostro prossimo presidente dovrà concentrarsi immediatamente sul raggiungimento di un nuovo accordo, ancora più ambizioso, per la lotta contro i cambiamenti climatici. Dobbiamo puntare a completare questo trattato globale entro la fine del 2009, e non aspettare fino al 2012, come previsto attualmente.
Se per l'inizio del 2009 gli Stati Uniti avranno già messo in campo una serie di misure interne per ridurre le emissioni di gas serra, sono sicuro che quando daremo all'industria un traguardo da raggiungere e gli strumenti e la flessibilità per ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica, riusciremo a completare e a ratificare in tempi rapidi un nuovo trattato. Quella che abbiamo di fronte, d'altronde, è un'emergenza planetaria.

Un nuovo trattato prevederà, in ogni caso, come già Kyoto, gradi differenziati di impegno: ai Paesi saranno richiesti sforzi di diversa entità, tenendo conto di quanto hanno contribuito, storicamente, a creare questo problema, e tenendo conto della loro capacità relativa di sostenere gli oneri del cambiamento. È un precedente consolidato nel diritto internazionale, e non esistono altri modi per procedere.

Qualcuno cercherà di distorcere questo precedente utilizzando argomentazioni xenofobiche e nazionalistiche per dire che ogni Paese dovrebbe essere tenuto a rispettare gli stessi standard. Ma perché Paesi che hanno un quinto del nostro prodotto interno lordo, Paesi che in passato non hanno contribuito se non in maniera marginalissima a creare questa crisi, dovrebbero sopportare lo stesso sforzo degli Stati Uniti? Siamo così spaventati da questa sfida da non riuscire ad assumere un ruolo guida?

I nostri figli hanno diritto a pretendere da noi una maggiore responsabilità, ora che è il loro futuro - anzi, il futuro di tutta la civiltà umana - a essere in bilico. Meritano qualcosa di meglio di un governo che censura i dati scientifici più attendibili e se la prende con quegli scienziati onesti che cercano di metterci in guardia dalla catastrofe incombente. Meritano qualcosa di meglio di politici che se ne stanno con le mani in mano e non fanno niente per affrontare la sfida più grande che il genere umano abbia mai dovuto affrontare, perfino ora che il pericolo, ormai, incombe su di noi.

Noi ci dobbiamo concentrare sulle opportunità che derivano da questa sfida. Nuovi posti di lavoro, nuove occasioni di profitto spunteranno fuori una volta che le grandi aziende si saranno messe in moto con decisione per cogliere le colossali opportunità economiche offerte da un futuro di energia pulita.

Ma c'è qualcosa di ancora più prezioso da guadagnare se faremo la cosa giusta. La crisi climatica ci offre l'occasione di sperimentare quello che poche generazioni nel corso della storia hanno avuto il privilegio di sperimentare: una missione generazionale, un obbiettivo morale convincente, una causa comune e l'entusiasmante prospettiva di venire obbligati dalle circostanze a mettere da parte le meschinità e i conflitti della politica per abbracciare una sfida autenticamente morale e spirituale.

L'autore, vicepresidente Usa dal 1993 al 2001, è il presidente dell'Alliance for Climate Protection. Ha pubblicato, di recente, The Assault on Reason.